Il    Senato     della     Repubblica,     in     persona     del
Presidente pro-tempore, on. Maria Elisabetta Alberti Casellati - come
da   autorizzazione   ed   in   esecuzione   di   quanto   deliberato
dall'Assemblea parlamentare, nella seduta  del  30  giugno  2022,  su
proposta della Giunta delle Elezioni e delle  Immunita'  Parlamentari
del 18 maggio 2022 - rappresentato e difeso, sia  congiuntamente  che
disgiuntamente, dagli  avvocati  Pasquale  Frisina  (codice  fiscale:
FRSPQL57P13H501V)    e    Caterina    Mercurio    (codice    fiscale:
MRCCRN71M62C352Z) del  Foro  di  Roma  ed  elettivamente  domiciliato
presso il loro studio in Roma - via Gaetano Donizetti n. 7  i  quali,
ai sensi dell'art. 5 delle Norme integrative per i  giudizi  dinnanzi
alla Corte costituzionale del  7  ottobre  2008  (Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica  italiana  7  novembre  2008  n.  261  e  successive
modificazioni ed integrazioni, indicano, ai sensi dell'art.  136  del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, come propri  recapiti  per
la ricezione delle  relative  comunicazioni  il  seguente  numero  di
telefax:  06/85356058  e   gli   indirizzi   di   posta   elettronica
certificata, costituenti il loro  domicilio  digitale,  estratti  dai
Registri  di  Giustizia:   pasqualefrisina@ordineavvocatiroma.org   e
caterina.mercurio@legalmail.it, giusta procura speciale, in calce  al
presente atto. 
 
                                Fatto 
 
    1.1. - Con lettera in data  8  marzo  2022  (doc.  n.  1),  l'on.
Stefano Esposito, nato a Moncalieri (TO), in  data  18  giugno  1969,
senatore nella XVII Legislatura, nel periodo, che va dal 2 marzo 2013
al  22  marzo  2018,  ha  segnalato  al   Senato   della   Repubblica
l'illegittima esecuzione di intercettazioni telefoniche a suo carico,
captate quando ancora ricopriva l'incarico  di  parlamentare,  ed  il
loro indebito utilizzo, in violazione dell'art. 68 della Costituzione
e della legge 20 giugno 2003, n. 140, nell'ambito di un  procedimento
penale pendente nei suoi confronti presso il Tribunale di Torino,  in
cui risulta essere imputato, oltre che del concorso  nel  delitto  di
turbata liberta'  degli  incanti  (articoli  110  e  353  del  codice
penale), anche dei delitti di corruzione per atti contrari al  dovere
d'ufficio (art. 81 capoverso, 319 e  321  del  codice  penale)  e  di
traffico di influenze illecite (articoli 81 capoverso e  346-bis  del
codice penale). 
    1.2. - L'on. Stefano Esposito, in particolare, nel ricostruire le
varie fasi  processuali  che  hanno  condotto  all'instaurazione  del
procedimento penale nei propri confronti, ha riferito, corredando  la
segnalazione della documentazione a supporto, di aver ricevuto: 
      (i) - nel corso  del  mese  di  novembre  2017,  quando  ancora
ricopriva la carica di senatore, la notifica ad istanza della Procura
della Repubblica presso il Tribunale  di  Torino,  di  un  avviso  di
proroga del  termine  delle  indagini  preliminari,  nell'ambito  del
procedimento n. 5194/2017 R.G., apprendendo, in tal guisa  di  essere
indagato, per  fatti  verificatisi  mentre  ricopriva  la  carica  di
senatore, per il delitto di turbata liberta' degli incanti e, quindi,
di essersi sottoposto, spontaneamente, ad interrogatorio, al fine  di
chiarire la propria posizione e la propria  completa  estraneita'  ai
fatti; 
      (ii) - nel corso del 2020 e, segnatamente, in data  15  ottobre
2020, la notifica, ad istanza della Procura della  Repubblica  presso
il Tribunale  di  Torino,  nell'ambito  del  procedimento  penale  n.
24047/2015 R.G.N.R. n. 1900/2021 R.G. G.I.P.  [al  quale  risultavano
riuniti i  procedimenti  penali  nn.  5194/2017  R.G.N.R.,  7945/2015
R.G.N.R. e n.  23254/2919,  R.G.N.R.  (gia'  procedimento  penale  n.
85108/2014 R.G.N.R. - Mod. 44)] di un  avviso  di  conclusione  delle
indagini preliminari, integrato da un successivo avviso notificato in
data 19 ottobre 2020, con il quale gli venivano contestati, oltre  al
concorso nel delitto di  turbata  liberta'  degli  incanti,  anche  i
delitti di corruzione per atti contrari  al  dovere  d'ufficio  e  di
traffico di influenze illecite; 
      (iii) - nel corso del 2021 e, segnatamente, in data  29  luglio
2021, la notifica, ad istanza della Procura della  Repubblica  presso
il Tribunale di Torino. di una richiesta di rinvio a  giudizio  (doc.
n. 2), seguita dalla notifica in data 21 settembre 2021,  dell'avviso
di fissazione dell'udienza preliminare del 23 novembre 2021,  dinanzi
al Giudice per l'udienza preliminare (in  sigla,  «G.U.P.»),  seguita
dalle successive udienze del 30 novembre 2021, del 7  dicembre  2021,
del 14 dicembre 2021 e del 16 febbraio 2022 in esito alle quali,  con
decreto del 1° marzo 2022 (doc. n. 3),  era  stato  disposto  il  suo
rinvio a giudizio. 
    1.3.  -  L'on.  Stefano  Esposito,  quindi  ai   fini   che   qui
interessano, ha rappresentato: 
      A) - con riferimento alla fase delle indagini preliminari,  che
(i) all'avviso di conclusione delle indagini, notificatogli  in  data
19  ottobre  2020,  era  allegato  un   elenco   di   intercettazioni
telefoniche ritenute «rilevanti» dal P.M. (per un totale di circa 126
conversazioni telefoniche),  poste  a  sostegno  delle  contestazioni
mosse e che lo  riguardavano  in  qualita'  di  interlocutore,  tutte
captate quando ancora ricopriva la carica  di  senatore;  (ii)  nella
richiesta di rinvio a giudizio del 29 luglio 2021, tra le  «fonti  di
prova»,  erano  state   menzionate   le   predette   «operazioni   di
intercettazione telefonica» (cfr. doc. n. 2, pag. 39); 
      B) - con riferimento alla fase processuale dinanzi  al  G.U.P.,
che: 
        (i) - nel corso dell'udienza del 30 novembre  2021  (doc.  n.
4), il suo difensore, associandosi alle  richieste  della  difesa  di
altro coimputato, aveva sollevato, in via principale, l'eccezione  di
inutilizzabilita'  delle  predette  intercettazioni  telefoniche,  ai
sensi dell'art. 68, comma 3, della Costituzione e dell'art.  4  della
legge  n.   140/2003   siccome   acquisiste   senza   la   preventiva
autorizzazione del Senato e, in  via  subordinata,  qualora  ritenute
intercettazioni «casuali», di trasmettere  gli  atti  al  Senato,  ai
sensi dell'art. 6, comma 2, della legge n. 140/2003. Analoga  istanza
era stata avanzata con riferimento ad alcuni suoi messaggi  whatsapp,
acquisiti  tramite  la  copia  forense  dei  dati   contenuti   nello
smartphone  in  uso  ad  uno  dei  coimputati,  in   esito   ad   una
perquisizione avvenuta in data 18 marzo 2018. 
    Il G.U.P., tuttavia, con ordinanza  in  data  30  novembre  2021,
aveva  ritenuto  che  le  questioni  poste  afferissero   «(...)   in
definitiva all'utilizzabilita' di singoli  atti  processuali»,  sulle
quali il Giudice, a suo avviso, non sarebbe stato «tenuto a  decidere
anticipatamente, rispetto alla trattazione del merito» e che, dunque,
sarebbero  state  «decise  con  l'adozione   dei   provvedimenti   di
definizione dell'udienza preliminare»  disponendo  «procedersi  oltre
nell'udienza  preliminare,  invitando  i  difensori  ad  esporre   le
relative doglianze nel corso  della  loro  discussione  e  riservando
all'esito ogni decisione in merito» (cfr. doc. n. 4,  pag.  14).  Nel
corso  della  stessa  udienza,  a  fronte  della  reiterazione  delle
predette eccezioni,  anche  mediante  l'allegazione,  a  verbale,  di
apposita  memoria  del  suo  difensore,  il  G.U.P.,  con  successiva
ordinanza aveva  pervicacemente  confermato,  la  propria  precedente
decisione  («il  giudice  sulle  questioni  sollevate  dalle  difese,
richiamate le argomentazioni espresse nella precedente  ordinanza  in
merito alla non necessita' di decidere  anticipatamente  rispetto  al
merito  delle   questioni   sollevate,   dispone   procedersi   oltre
nell'udienza preliminare, e riservando all'esito  ogni  decisione  in
merito») (cfr. doc. n. 4, pag. 15); 
        (ii)  -  nel  corso  dell'udienza  del   16   febbraio   2022
(immediatamente  successiva  a  quella  del  14  dicembre  2021,   in
occasione della quale il P.M. aveva chiesto il suo rinvio a giudizio)
il suo difensore aveva insistito  (doc.  n.  5)  nella  richiesta  di
decisione immediata sulle questioni gia' sollevate all'udienza del 30
novembre 2022, depositando  apposita  memoria,  tuttavia,  il  G.U.P.
aveva emesso il decreto del 1° marzo 2021, di  citazione  a  giudizio
indicando tra  le  «fonti  di  prova»,  le  predette  «operazioni  di
intercettazione telefonica» (cfr. doc. n. 3). 
    1.4. - Infine, l'on. Stefano Esposito ha precisato  che,  fin  da
subito,  gli  organi,  della   magistratura,   sia   inquirente   che
requirente, avevano avuto contezza che le intercettazioni che stavano
captando riguardavano un parlamentare, essendo intercorse quasi tutte
(ben n. 113 delle n. 126 intercettazioni  telefoniche  indicate  come
«rilevanti» dal P.M.), nel periodo in  cui  ricopriva  la  carica  di
senatore, con uno stesso  coimputato  al  quale  era  legato  da  uno
stabile rapporto di amicizia di durata ultraventennale e di  pubblico
dominio e, quindi, facilmente annoverabile tra i  suoi  interlocutori
abituali.  Non  solo,  ma,  dall'esame  del   complessivo   materiale
acquisito agli atti del  processo,  sarebbe  emersa  una  sistematica
attivita' di captazione delle sue conversazioni  telefoniche  con  il
predetto coimputato, essendo stati intercettati ben 500 contatti  dai
quali sarebbero stati estratte ben n.  113  intercettazioni  ritenute
«rilevanti» dal P.M. e poste a fondamento delle  imputazioni  per  le
quali si stava procedendo. 
    1.5. - L'on. Stefano Esposito ha rappresentato, quindi, la palese
violazione  delle  guarentigie  parlamentari  e,   segnatamente,   la
violazione dell'art. 68, comma 3, della Costituzione  e  dell'art.  4
della legge n. 140/2003 secondo cui «1. Quando occorre  eseguire  nei
confronti  di  un  membro  del  Parlamento  (.)  intercettazioni,  in
qualsiasi forma, di conversazioni o di comunicazioni (..) l'autorita'
competente richiede direttamente l'autorizzazione  alla  Camera  alla
quale  il  soggetto  appartiene.  2.  L'autorizzazione  e'  richiesta
dall'autorita' che ha emesso il provvedimento da eseguire; in  attesa
dell'autorizzazione l'esecuzione del  provvedimento  rimane  sospesa»
ovvero, in subordine, comunque, dell'art. 6, comma 2, della legge  n.
140/2003, secondo cui, fuori dalle ipotesi  previste  dal  richiamato
art. 4, il giudice  per  le  indagini  preliminari,  «2.  Qualora  su
istanza di una parte processuale, sentite le altre parti nei  termini
e nei modi di cui all'art. 268, comma  6,  del  codice  di  procedura
penale, ritenga necessario utilizzare le intercettazioni o i tabulati
di cui al comma 1, (..) decide con  ordinanza  e  richiede,  entro  i
dieci giorni successivi, l'autorizzazione alla Camera alla  quale  il
membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in  cui  le
conversazioni o le  comunicazioni  sono  siate  intercettate.  3.  La
richiesta di autorizzazione e'  trasmessa  direttamente  alla  Camera
competente. In essa il giudice per le indagini preliminari enuncia il
fatto per il quale e' in corso il procedimento, indica  le  norme  di
legge che si assumono violate e gli elementi sui quali  la  richiesta
si fonda, allegando  altresi'  copia  integrale  dei  verbali,  delle
registrazioni e dei tabulati  delle  comunicazioni.  4.  In  caso  di
scioglimento della Camera alla quale il parlamentare  appartiene,  la
richiesta perde efficacia a decorrere  dall'inizio  della  successiva
legislatura  e  puo'  essere  rinnovata  e  presentata  alla   Camera
competente   all'inizio   della   legislatura   successiva.   5.   Se
l'autorizzazione    viene    negata,    la    documentazione    delle
intercettazioni e' distrutta immediatamente, e comunque, non oltre  i
dieci giorni dalla comunicazione del diniego. 6. Tutti i verbali,  le
registrazioni e i tabulati di comunicazione acquisiti  in  violazione
del  disposto  del  presente  articolo   devono   essere   dichiarati
inutilizzabili dal giudice in ogni stato e grado del procedimento». 
    Tanto  rappresentato,  l'on.  Stefano  Esposito  ha  chiesto   al
Presidente del Senato di assumere tutte le iniziative  opportune  per
la  tutela  delle  prerogative  parlamentari,  posto   che   sia   le
intercettazioni  telefoniche  che  I  messaggi  whatsapp,   acquisiti
mediante  copia  forense,  dallo  smartphone  di  altro   coimputato,
avrebbero dovuto essere dichiarati inutilizzabili nei suoi confronti,
in assenza di autorizzazione preventiva  del  Senato,  in  violazione
dell'art. 68, comma 3, della Costituzione e dell'art. 4, della  legge
n. 140/2003 e, comunque, anche a voler ritenere che le  conversazioni
captate fossero state frutto di intercettazioni  «casuali»,  in  ogni
caso, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge n. 140/2003, al fine
di poterle  utilizzare  nei  suoi  confronti,  come  poi  in  effetti
accaduto,  sarebbe   stata   comunque   necessaria   l'autorizzazione
«successiva» del Senato. 
    1.6.  -  Il  Presidente  del  Senato,  ricevuta  la  segnalazione
dell'on. Stefano Esposito, con nota del 10 marzo 2022, ha deferito la
questione alla Giunta delle Elezioni e delle immunita'  parlamentari,
ai sensi degli art. 34, comma 1, e 135 del  regolamento  del  Senato,
dandone informativa al medesimo  senatore  ed  al  G.U.P.  presso  il
Tribunale di Torino (doc. n. 6). 
    La Giunta  delle  Elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari  ha
esaminato la questione nelle sedute del 22 marzo 2022, del 20  aprile
2022  [in  cui  si  e'  proceduto  all'audizione   del   parlamentare
intercettato che ha depositato apposita nota  illustrativa  (doc.  n.
7)], del 26 aprile 2022 e del 18 maggio 2022 (docc. nn. 8-11)  e,  in
esito a tale ultima seduta, ha deliberato,  a  maggioranza,  di  dare
mandato al Relatore  perche'  riferisse  e  proponesse  all'Assemblea
parlamentare di sollevare un conflitto di attribuzione tra  i  poteri
dello  Stato  dinanzi  alla  Corte   costituzionale,   al   fine   di
ripristinare la legalita' costituzionale violata (cfr. doc. n. 2). La
conforme relazione e' stata  inviata  al  Presidente  del  Senato  in
data 21 giugno 2022 (doc. n. 12), ai sensi dell'art. 50, comma 1, del
regolamento del Senato. 
    1.7. - Il Senato della Repubblica, nella  seduta  del  30  giugno
2022, a maggioranza, ha  approvato  la  relazione  e  deliberato  «di
promuovere il conflitto di attribuzione tra  i  poteri  dello  Stato,
innanzi alla Corte costituzionale con riguardo  agli  atti  posti  in
essere  nell'ambito  del  procedimento  penale  pendente  dinanzi  al
Tribunale di Torino, nei confronti  dell'onorevole  Stefano  Esposito
(n. 24047/2015 R.G.N.R.)», al contempo, autorizzando la Presidenza «a
dare mandato ad uno o piu' avvocati del libero foro» (doc. n. 13). In
data 20 agosto 2006,  il  Presidente  pro-tempore  ha  rilasciato  il
correlativo mandato ai sottoscritti difensori, al fine di  promuovere
il presente ricorso per conflitto di attribuzione. 
I - Sull'ammissibilita' del ricorso. 
    I.1 - In via preliminare, giova rappresentare che, alla  luce  di
quanto  suesposto,  ricorrono,  nella  specie,  tutti  i   requisiti,
soggettivi  ed  oggettivi,  affinche'  il  ricorso   possa   superare
positivamente il vaglio di ammissibilita' di cui  all'art.  37  della
legge costituzionale 11 marzo 1953 n.  87,  riguardando  esso  organi
competenti a dichiarare definitivamente la volonta'  del  potere  cui
appartengono ed avendo ad oggetto la  delimitazione  della  sfera  di
attribuzione   determinata   tra   i   vari   poteri   dalle    norme
costituzionali. 
    I.2.1. - Sotto il profilo della legittimazione attiva,  non  puo'
revocarsi in  dubbio,  alla  luce  della  consolidata  giurisprudenza
costituzionale, la legittimazione attiva del Senato della  Repubblica
a promuovere, attraverso il  suo  Presidente  e  sulla  base  di  una
conforme delibera assembleare, conflitti di attribuzione tra i poteri
dello Stato. Entrambe le Camere sono, infatti, da ritenere competenti
a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartengono,
ai sensi dell'art. 27, primo comma,  della  legge  costituzionale  n.
53/1987,   allorche'   vengano   in   considerazione    «attribuzioni
rivendicate in nome dell'autonomia  e  dell'indipendenza  da  ciascun
ramo del Parlamento» [cfr. Corte costituzionale 17  ottobre  1996  n.
379 (sent.); id., 17 febbraio 2022  n.  35  (ord.);  id.  286  del  3
dicembre 2014 (ord.); id., 16 gennaio  2003  n.  31  (ord.);  id.  30
gennaio 2004 n. 58 (sent.); id., 19 giugno 2003 n. 232 (ord.); id. 24
giugno 1981 n. 129 (sent.); id, 6 novembre 1980 n. 150 (ord.)]. 
    Ne' potrebbe sostenersi  che  la  legittimazione  spetterebbe  al
singolo parlamentare  te  cui  conversazioni  non  potrebbero  essere
captate ai sensi dell'art. 68 della Costituzione  e  della  legge  n.
140/2003, posto che, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma  Corte,
in tal caso, il singolo parlamentare utilizzerebbe impropriamente  il
mezzo del  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  e  la  relativa
iniziativa si rivelerebbe inammissibile [cfr. Corte costituzionale, 5
aprile 2000 n. 101 (sent.); id. 4 luglio 2001 n. 225 (sent.)]. 
    I.2.2. - Sotto il profilo  della  legittimazione  passiva,  nella
specie, devono ritenersi pacifica (i) sia quella della Procura  della
Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Torino,  poiche'  il  pubblico
ministero, ai sensi dell'art. 112  della  Costituzione,  e'  titolare
dell'indagine  finalizzata  all'esercizio  obbligatorio   dell'azione
penale.  L'attivita'  del  pubblico  ministero  «si  presenta,  sotto
molteplici aspetti, con caratteri squisitamente  propri,  autonomi  e
decisori, ne' puo' essere tralasciato che, proprio secondo  la  Corte
costituzionale,  anche  il  pubblico  ministero  e'  una   «autorita'
giudiziaria» e che  la  funzione  requirente  e'  ricompresa  fra  le
attribuzioni  riferibili  al  potere   giudiziario»   [c.f.r.   Corte
costituzionale, 6 settembre 1995 n. 420 (sent.); id. 17 ottobre  1996
n. 379 (sent.; id. 16 dicembre 1993 n. 462 (sent.); id.  16  dicembre
1993 n. 46 (sent.); id. 16 dicembre 1993 n. 464  (sent.)];  (ii)  sia
quella del Tribunale di Torino - Ufficio  del  Giudice  per  indagini
preliminari  e  del   Giudice   dell'udienza   preliminare,   essendo
insegnamento costante  della  giurisprudenza  costituzionale,  che  i
singoli organi giurisdizionali svolgono la loro funzione in posizione
di piena indipendenza, costituzionalmente garantita e  sono,  percio'
competenti  a  dichiarare   definitivamente,   nell'esercizio   delle
funzioni attribuitegli, la  volonta'  del  potere  cui  appartengono.
Nella  specie,  infatti,  al  Tribunale   di   Torino   deve   essere
riconosciuta la legittimazione passiva, in quanto organo competente a
decidere definitivamente, nell'ambito delle funzioni  giurisdizionali
ad esso attribuite, in merito al proscioglimento  dell'imputato  rima
del dibattimento, e comunque in ogni stato e grado del  processo,  ai
sensi degli articoli 129 e 469 del codice di procedura  penale  [cfr.
Corte costituzionale, sent. n. 379/1996 cit.; id., 11 gennaio 1996 n.
6 (ord.); id. 8 febbraio 1993 n. 68 (ord.); id. 22  ottobre  1975  n.
231 (sent.); id. sent. n. 225/2001 cit.]. 
    I.3.1. - Sussistono anche i requisiti oggettivi di ammissibilita'
del ricorso,  posto  che,  secondo  il  costante  insegnamento  della
giurisprudenza, ricorrono gli estremi di un conflitto risolvibile, ai
sensi  dell'art.  134  della  Costituzione,  ogni   qual   volta   la
controversia riguardi, come nella  specie,  da  un  lato,  il  potere
dell'Autorita'  giudiziaria   ordinaria   (e,   segnatamente,   della
magistratura, inquirente e requirente, preposta  all'esercizio  della
giurisdizione penale, ai sensi dell'art. 1, comma 1,  del  codice  di
procedura penale) nella conduzione  del  procedimento  penale,  avuto
riguardo al compimento di determinati atti soggetti ad autorizzazione
(preventiva o successiva) e, dall'altro, l'autonomia del Senato della
Repubblica cui  e'  costituzionalmente  garantito  l'esercizio  delle
proprie attribuzioni, sia collegialmente che tramite l'attivita'  dei
propri componenti, senza subire indebite interferenze da parte  degli
altri poteri dello Stato, nel rispetto dei principio di autonomia  ed
indipendenza delle istituzioni parlamentati, sancito  dagli  articoli
67 e 68 della Costituzione [cfr.  Corte  costituzionale,  13  gennaio
2004 n. 24 (sent.)]. 
    Tale prospettazione vale a dimostrare che «esiste la  materia  di
un conflitto»  (in  base  all'art.  37,  quarto  comma,  della  legge
costituzionale n. 87/1953),  anche  se  nei  casi  in  esame  non  si
controverte circa la spettanza di  una  stessa  attribuzione,  atteso
che,  come  reiteratamente  chiarito,  la  figura  dei  conflitti  di
attribuzione «non si restringe alla sola ipotesi circa l'appartenenza
del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi
per  se',  ma  si  estende  a  comprendere  ogni   ipotesi   in   cui
dall'illegittimo  esercizio  di  un   potere   altrui   consegua   la
menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate
ad altro soggetto» [cfr. Corte costituzionale, 17 giugno 1970 n.  150
(sent.); Id. 24 giugno 1981 n. 129 (sent.); Id., 17  giugno  1970  n.
110 (sent.)]. 
    I.3.2. - Ne' puo' obiettarsi, rispetto a siffatta conclusione, la
circostanza che le intercettazioni ed i messaggi  whatsapp  avrebbero
riguardato le attribuzioni  del  singolo  parlamentare  e  non  della
Camera di appartenenza, atteso che le  prerogative  dei  parlamentari
non sono volte a garantire loro situazioni soggettive individuali, ma
mezzi di tutela  della  funzione  parlamentare,  complessivamente  ed
unitariamente   considerata,   e,   dunque,    dell'istituzione    di
appartenenza del singolo parlamentare.  E,  nella  specie,  cio'  che
lamenta il Senato della Repubblica, come  appresso  chiarito,  e'  la
lesione di proprie specifiche  prerogative  costituzionali,  poste  a
presidio dell'esercizio della funzione parlamentare, per essere stato
precluso  in  radice  l'esercizio  del  potere  autorizzatorio  della
Camera, intercettando, prima le conversazioni di  un  parlamentare  e
ponendole, poi, a sostegno sia della richiesta di rinvio  a  giudizio
(cfr. doc. n. 2) che dell'emissione del decreto (cfr. doc. n. 3)  che
dispone il giudizio [cfr. Corte costituzionale, 19 novembre 2007  390
(sent.)]. 
    E, d'altronde, e' pacifica  l'ammissibilita'  del  ricorso  degli
«organi costituzionali» avverso «atti  di  autorita'  giurisdizionali
ritenuti lesivi della propria posizione costituzionale», ivi compresi
quelli soggetti a riforma o impugnazione [cfr. Corte  costituzionale,
24 maggio 2004 n. 154; id. (sent.) n. 129/1981 cit.; id. 6  settembre
1995 n. 435; id. (sent.) n. 379/1996 id. (sent.)  n.  225/2001  cit.;
id., 3 luglio 2001 n. 263 (sent.)]. Il Senato  della  Repubblica  non
disporrebbe, peraltro, di alcun altro rimedio per tutelare la propria
sfera di autonomia costituzionalmente  garantita,  non  esistendo  un
altro grado di giurisdizione precedente o diverso del quale fruire  e
non potendo esserci arte del  giudizio  dal  quale  ha  originato  il
conflitto. 
    I.4. - Sussiste, infine, l'interesse a ricorrere del Senato della
Repubblica, atteso che, come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  gia'  avuto
occasione di affermare, non esiste  alcun  termine  per  sollevare  i
conflitti di attribuzione tra poteri, radicandosi la ratio di  questa
mancanza nell'esigenza - avvertita dal  Legislatore  in  ragione  del
livello  precipuamente  politico-costituzionale  di  tal  genere   di
controversie - di favorirne al massimo la composizione, svincolandola
dall'osservanza di termini di decadenza. 
    Il Senato - che, del resto, nelle premesse del  ricorso  ha  dato
atto  di  come  tutt'ora  penda  un  giudizio  penale  per  i   fatti
contestati, sulla base delle intercettazioni  del  parlamentare  - ha
ancora interesse a rimuovere, attraverso la decisione della Corte sul
conflitto, ogni dubbio sul punto se,  nella  specie,  la  prerogativa
concernente l'inviolabilita'  «delle  conversazioni  o  comunicazioni
intercettate  in  qualsiasi  forma»  del  parlamentare  siano   state
violate. 
    L'accoglimento del presente ricorso consentirebbe  al  Senato  di
riacquistare  la  pienezza  delle   proprie   prerogative,   mediante
l'esercizio del potere autorizzatorio delle intercettazioni a  carico
di un suo parlamentare,  garantendo  un  ripristino  della  legalita'
violata. 
II - Sulla violazione e falsa applicazione  dell'art.  68,  comma  3,
della Costituzione (e degli articoli 4 o 6 della legge 26 giugno 2003
n. 140). 
    II.1.1. - Nel merito. Violazione e falsa  applicazione  dell'art.
68, comma 3,  della  Costituzione  (siccome  attuato  dall'art.  4  o
dall'art. 6, comma 2, della legge 26 giugno 2003, n. 140). 
    II.1.2. - L'art. 68, comma  3,  della  Costituzione  -  all'esito
della revisione compiuta con la legge costituzionale 29 ottobre  1993
n. 3, con la quale e' stata sostituita l'originaria autorizzazione  a
procedere nei confronti dei parlamentari con  un  sistema  basato  su
specifiche autorizzazioni ad acta -  stabilisce  che  e'  «richiesta»
l'autorizzazione della  Camera  di  appartenenza  «per  sottoporre  i
membri del Parlamento  a  intercettazioni,  in  qualsiasi  forma,  di
conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». 
    La  ratio  della  garanzia  prevista  dal   richiamato   precetto
costituzionale, secondo il costante insegnamento  di  codesta  ecc.ma
Corte, e' quella porre  il  parlamentare  al  riparo  da  illegittime
interferenze  giudiziarie  nell'esercizio  del  suo  mandato,   fermo
restando che «(...) Destinatari della tutela, in ogni caso, non  sono
i parlamentari; ma le  Assemblee  nel  loro  complesso.  Di  esse  si
intende preservare la  funzionalita',  l'integrita'  di  composizione
(nel  caso  delle  misure  de  libertate)  e   la   piena   autonomia
decisionale, rispetto  ad  indebite  invadenze  ed  interferenze  del
potere giudiziario» e',  tanto  determina  l'irrinunciabilita'  della
garanzia»  [cfr.  Corte  costituzionale  (sent.)  n.   390/2007   che
richiama, sul punto, le proprie precedenti pronunce  del  16  gennaio
1970 n. 9 (sent.) e (sent.) n. 58/2004 cit.]. 
    Alla previsione costituzionale e'  stata  data,  poi,  attuazione
attraverso gli articoli 4 e 6 della legge n.  140/2003,  al  fine  di
rendere la prerogativa direttamente ed immediatamente  operativa  sul
piano processuale [cfr. Corte costituzionale, 7 ottobre 2009  n.  262
(sent.);  id.,  7  aprile   2004   n.   120   (sent.)],   assicurando
l'indipendenza, autonomia e liberta'  delle  Camere  del  Parlamento,
alle quali deve essere garantito l'esercizio delle proprie  funzioni,
senza interferenze da pare di altri poteri. 
    II.1.3. - Ebbene,  nella  specie,  l'Autorita'  giudiziaria,  sia
inquirente che requirente, non ha attemperato al proprio  obbligo  di
chiedere l'autorizzazione del Senato della  Repubblica  in  relazione
alle   intercettazioni   telefoniche   (ed   all'acquisizione   delle
comunicazioni  whatsapp)  disposte  a  carico  del  parlamentare,  in
violazione dell'art. 68, comma 3, della legge n. 140/2003 e dell'art.
4 della legge n. 140/2003 o 6,  comma  2,  della  medesima  legge  n.
14/2003. La condotta complessiva seguita dai magistrati nel corso del
procedimento penale ed i singoli atti, commessivi ed omissivi (ove si
consideri la condotta del  G.U.P.  che  non  ha  deciso  la  relativa
eccezione)   risultano   palesemente   lesivi   delle    attribuzioni
costituzionali   del   Senato   della   Repubblica   cui   e'   stato
illegittimamente  precluso  l'esercizio  delle   proprie   competenze
costituzionalmente   previste   dalla   normativa   vigente,    circa
l'esercizio del proprio  potere  autorizzatorio,  Si  e'  verificato,
infatti, un inammissibile esercizio  da  parte  della  Procura  della
Repubblica presso il Tribunale di Torino, prima, e del G.I.P.  e  del
G.U.P., poi, circa l'esercizio delle attribuzioni proprie del  Senato
della Repubblica, al di  fuori  ed  in  violazione  delle  specifiche
garanzie  procedimentali  approntate   dal   Legislatore   nel   dare
attuazione  all'art.  68,  comma  3  della  Costituzione.  Il  potere
giurisdizionale ha vanificato il potere  parlamentare,  in  contrasto
con il disegno costituzionale ed in violazione  delle  irrinunciabili
garanzie apprestate per la tutela della liberta' ed  autonomia  della
funzione parlamentare. 
    II.2.1. - (segue) - Violazione e falsa applicazione dell'art. 68,
comma 3, della Costituzione (siccome attuato dall'art. 4 della  legge
26 giugno 2003, n. 140). 
    II.2.2  -  Nella  specie,  alla  luce  di  quanto  esposto  nella
narrativa,  avrebbe  dovuto  essere   richiesta   al   Senato   della
Repubblica, l'autorizzazione preventiva, ai sensi dell'art.  4  della
legge n. 140/2003. 
    In  proposito,  per  mero  tuziorismo,   giova   premettere   che
l'immunita' parlamentare disegnata dalla previsione costituzionale di
cui all'art. 68, comma 3, della Costituzione e dalla legge attuativa:
(i) per un verso, non riguarda piu' il procedimento  penale  in  se',
poiche'  solo  alcuni  specifici  atti  sono  considerati  idonei  ad
incidere  negativamente  sulla  liberta'  e  sull'indipendenza  della
funzione  parlamentare  e,  in  quanto  tali,  sono   soggetti   alla
necessaria autorizzazione della  Camera  di  appartenenza;  (ii)  per
altro verso,  secondo  l'autorevole  insegnamento  dell'adita  Corte,
l'autorizzazione deve essere preventivamente richiesta  non  solo  se
l'atto d'indagine sia disposto direttamente nei confronti  di  utenze
intestate  al  parlamentare  o  nella  sua   disponibilita'   (cc.dd.
intercettazioni  «dirette»)  ma  anche  tutte  le  volte  in  cui  la
captazione si  riferisca  a  utenze  di  interlocutori  abituali  del
parlamentare,  o  sia  effettuata  in   luoghi   presumibilmente   da
quest'ultimo frequentati, al precipuo scopo di conoscere il contenuto
delle conversazioni e comunicazioni del parlamentare stesso. 
    II.2.3. -  L'autorizzazione   preventiva   deve   essere   dunque
richiesta   dall'Autorita'   giudiziaria    per    eseguire    l'atto
investigativo nei confronti di un parlamentare «(...)  a  prescindere
dalla considerazione  dei  pregiudizi  che  la  sua  esecuzione  puo'
comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si  indentifica,
infatti, con l'esigenza  di  assicurare  il  corretto  esercizio  del
potere giurisdizionale nei confronti dei membri  del  Parlamento»  e,
rispetto ad  esso  cio'  che  conta  e'  la  direzione  dell'atto  di
indagine. 
    E, difatti,  la  norma  costituzionale  vieta  di  sottoporre  ad
intercettazione,   senza   autorizzazione,   «non   le   utenze   del
parlamentare, ma le sue comunicazioni: quello che conta ... non e' la
titolarita' o disponibilita' dell'utenza  captata,  ma  la  direzione
dell'atto di indagine», trattandosi di «...  di  un'autorizzazione  a
carattere preventivo, concernente i casi nei quali il parlamentare si
presenta - non necessariamente in  quanto  indagato,  ma  anche  (per
diffuso convincimento) quale persona offesa o informata  sui  fatti -
come il destinatario dell'atto investigativo». 
    Dunque, come sottolineato da codesta ecc.ma Corte,  nel  caso  in
cui,  nel  corso   di   un'attivita'   investigativa   dell'Autorita'
giudiziaria «(...) sia individuato  in  anticipo  quale  destinatario
dell'attivita' di  captazione»  un  parlamentare,  ancorche'  «questa
captazione abbia  luogo  monitorando  utente  di  diversi  soggetti»,
dovra'  trovare  applicazione,  trattandosi   di   un'intercettazione
«mirata», il regime di  cui  all'art.  4  della  legge  n.  140/2003,
secondo cui, come  esposto  nella  narrativa  in  fatto,  «1.  Quando
occorre eseguire nei  confronti  di  un  membro  del  Parlamento  (.)
intercettazioni,  in  qualsiasi  forma,   di   conversazioni   o   di
comunicazioni  (...)  l'autorita'  competente  richiede  direttamente
l'autorizzazione alla Camera alla quale il  soggetto  appartiene.  2.
L'autorizzazione  e'  richiesta  dall'autorita'  che  ha  emesso   il
provvedimento da eseguire; in attesa dell'autorizzazione l'esecuzione
del provvedimento rimane sospesa». 
    II.2.4. -  Sempre  secondo  gli  insegnamenti  dell'adita  Corte,
inoltre, qualora «emergano non soltanto  rapporti  di  interlocuzione
abituale tra il soggetto intercettato ed il  parlamentare,  ma  anche
indizi  di  reita'  nei  confronti  di  quest'ultimo,  non  si   puo'
trascurare che intervenga, nell'autorita' giudiziaria,  un  mutamento
di obiettivi: nel senso  che  -  in  ragione  anche  dell'obbligo  di
perseguire gli  autori  del  reati  -  le  ulteriori  intercettazioni
potrebbero  risultare  finalizzate,  nelle  strategie   investigative
dell'organo inquirente a captare non piu' (soltanto) le comunicazioni
del  terzo  titolare  dell'utenza,  ma   (anche)   quelle   del   suo
interlocutore parlamentare, per accertarne le responsabilita' penali.
Qualora cio'  accadesse,  ogni  «casualita'»  verrebbe  evidentemente
meno» [cfr. Corte costituzionale, 25 marzo 2010 n. 114 (sent.)]. 
    E, come osservato dalla migliore dottrina e  giurisprudenza,  «al
fine  di  distinguere  le   intercettazioni   di   conversazioni   di
parlamentari (o casuali, o  fortuite)  da  quelle  "indirette"  e  di
stabilire il regime giuridico applicabile, il giudice deve accertare,
con motivazione particolarmente  stringente,  l'occasionalita'  delle
intercettazioni  eseguite  tenendo  conto  del   tipo   di   rapporti
intercorrenti tra il parlamentare e il terzo sottoposto  a  controllo
telefonico,  dell'attivita'  criminosa  oggetto  dell'indagine,   del
numero delle conversazioni intercorse tra il parlamentare e il terzo,
dell'arco di tempo  entro  il  quale  l'attivita'  di  captazione  e'
avvenuta, nonche' delle eventuali proroghe delle autorizzazioni e del
momento in cui sono sorti indizi a  carico  del  parlamentare»  [cfr.
Cass. pen., Sez. Fer., 9 settembre 2010, n. 34244]. 
    Dunque «la casualita' della captazione  delle  conversazioni  cui
abbia preso parte un parlamentare, in assenza di autorizzazione della
Camera di appartenenza,  deve  essere  accertata  con  riferimento  a
molteplici parametri costituiti:  a)  dalla  tipologia  dei  rapporti
intercorrenti tra il parlamentare e il terzo sottoposto a  controllo;
b) dall'attivita' criminosa oggetto di indagine;  c)  dal  numero  di
conversazioni  intercorse  tra  il  terzo  ed  il  parlamentare;   d)
dall'arco di tempo della captazione; e) dal momento in cui sono sorti
indizi a carico del parlamentare» [cfr.  Cass.,  SS.UU.,  15  gennaio
2020 n. 741; Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2019 n. 8795]. 
    II.2.5. - Alla luce di quanto suesposto, non  puo'  revocarsi  in
dubbio che, nella fattispecie che ne occupa, sia  avvenuta  da  parte
della Procura della Repubblica e del G.I.P. presso  il  Tribunale  di
Torino, prima, e del G.U.P. presso il  medesimo  Tribunale,  poi,  la
scoperta violazione dell'art.  68,  comma  3,  della  Costituzione  e
dell'art. 4 della legge  n.  140/2003  da  cui  origina  il  presente
conflitto di attribuzione. 
    Sussistono, infatti, tutti  gli  indici  di  carattere  oggettivo
elaborati dalla giurisprudenza, anche costituzionale,  per  escludere
il carattere «casuale» delle  intercettazioni  che  hanno  riguardato
l'on. Stefano Esposito, nel periodo in cui  ricopriva  la  carica  di
parlamentare, ove si consideri che sono  state  eseguite  sull'utenza
intestata ad  un  suo  amico  abituale,  coimputato  nell'ambito  del
medesimo procedimento penale, oltre 500 captazioni - nel periodo  che
va dal 2015 al 2018 - e, dunque, alcune compiute addirittura dopo  la
notifica a carico del parlamentare dell'avviso di proroga del termine
delle indagini preliminari (avvenuta nel  2017)  da  cui  sono  state
estrapolate ben 126 conversazioni ritenute «rilevanti dal PM», di cui
ben 113 intercettazioni poste a base  della  richiesta  di  rinvio  a
giudizio, prima, e del decreto che dispone in giudizio poi (cfr  doc.
n. 7). 
    E' stato rappresentato, a tale  riguardo,  che  le  attivita'  di
captazione sono state disposte con decreto del G.I.P.  del  30  marzo
2017 e, a tale data, il  parlamentare  gia'  risultava  iscritto  nel
registro degli indagati (cfr. doc. n. 7). 
    Il complessivo iter procedimentale, dunque, conduce ad  affermare
che sia stato obiettivo dell'attivita' di indagine  il  parlamentare,
venendo individuati indizi di reita' a  suo  carico  sin  dalle  fasi
iniziali dell'attivita' di captazione. 
    Rileva, in primo luogo, il dato dell'iscrizione,  nel  2017,  nel
registro delle persone sottoposte ad  indagine  (il  parlamentare  ha
assunto  la  qualita'  di  indagato  sicuramente  nel   corso   delle
operazioni di intercettazione). 
    Anche volendo prescindere dal dato della formale  iscrizione,  il
parlamentare, sulla base degli elementi di indagine  progressivamente
raccolti, e' rimasto coinvolto nel contesto dei fatti  oggetto  delle
ipotesi di reato per  le  quali  si  e'  proceduto  all'attivita'  di
captazione delle sue conversazioni su utenze intestate a terzi ed  in
relazione ai quali e' stata esercitata nei  suoi  confronti  l'azione
penale. 
    Alla captazione si e' proceduto: (i) ipotizzandosi a  carico  del
parlamentare fattispecie di reato, nella funzione allora rivestita e,
dunque, ben nota agli organi della magistratura, sia  inquirente  che
requirente, di «Senatore  della  Repubblica»  e  di  «Senatore  della
Repubblica  e  di  Componente  della  Commissione   Parlamentare   di
inchiesta  sul  fenomeno  delle  mafie  e  sulle  altre  associazioni
criminali anche straniere»;  (ii)  ipotizzandosi  la  commissione  di
reati in concorso con uno dei coimputati, con i quali il parlamentare
aveva abituali interlocuzioni, trattandosi del padrino  di  battesimo
della figlia al quale era legato da un rapporto di profonda  amicizia
di durata ultra ventennale e di dominio pubblico (cfr. doc. n. 7). 
    II.2.5. - Calando  il  principio  nelle  caratteristiche  proprie
dell'attivita' di  intercettazione  (la  forza  intrusiva  del  mezzo
investigativo, l'imprevedibilita' della captazione di  interlocuzioni
con  terzi   estranei   agli   obiettivi   dell'indagine),   infatti,
l'evenienza di un uso distorto del potere investigativo  si  realizza
quando, come nelle specie, si sottopongano a controllo le  utenze  di
interlocutori abituali del  parlamentare  (o  luoghi  presumibilmente
frequentati dallo stesso, anche se nella disponibilita' di terzi)  in
presenza di indizi di reita' (o correita') a carico del parlamentare,
in  ogni  caso  con  l'intento  surrettizio   di   captare   le   sue
comunicazioni. 
    Dagli  atti  processuali  emerge  chiaramente  come   l'Autorita'
giudiziaria abbia identificato sin da subito l'on. Stefano  Esposito,
quale membro del Parlamento ed  interlocutore  abituale  di  uno  dei
coimputati e, cio'  nonostante,  abbia  proseguito,  in  spregio  del
precetto di cui all'art 68, comma 3, della Costituzione, come attuato
dall'art. 4 della legge n. 140/20203,  nell'attivita'  investigativa,
senza chiedere, come avrebbero dovuto, l'autorizzazione  alla  Camera
di appartenenza. Al contrario, come  rappresentato  dall'on.  Stefano
Esposito,  nella  segnalazione  indirizzata  al  Senato,  l'Autorita'
giudiziaria  ha  avviato  e  proseguito  l'attivita'   investigativa,
mediante l'intercettazione delle conversazioni del  parlamentare  che
sono state trascritte ed i cui  contenuti  sono  stati  riassunti  in
corpose annotazioni di polizia giudiziaria,  sottolineandone  a  piu'
riprese la rilevanza a fini investigativi. [cfr. doc. n. 7,  pag.  3,
laddove,    esemplificativamente,    si    riporta    lo     stralcio
di un'annotazione della Polizia giudiziaria del 25 marzo 2015,  posta
a  sostegno  di  una  richiesta  di  proroga   delle   dell'attivita'
captativa,  dalla  quale  emerge  con  chiarezza  come   gli   organi
inquirenti avessero piena contezza che le  conversazioni  telefoniche
riguardavano  il  parlamentare,  laddove  con   riferimento   ad   un
coimputato  si  sottolinea  che  quest'ultimo  aveva   prima   «(...)
consultato un individuo di nome Stefano,  cui  appare  legato  da  un
rapporto di profonda  amicizia,  identificato  in  Stefano  Esposito,
senatore della Repubblica italiana utilizzatore dell'utenza n. (...).
Sono numerose le conversazioni telefoniche intercorse tra i due,  dal
tenore nettamente confidenziale, caratterizzate da svariati argomenti
tra i  quali  emergono  molteplici  scambi  di  opinioni  su  vicende
affaristiche...)»]. 
    E, come emerge sia dalla richiesta di rinvio a giudizio del  P.M.
del 29 luglio 2021 (cfr. doc. n. 2), sia del decreto che  dispone  il
giudizio del 1° marzo 2022 (cfr. doc. n. 3), tra le «fonti  di  prova
esaminate»,  compaiono  proprio  le  «operazioni  di  intercettazione
telefonica»  a  carico  del  parlamentare.  E  cio',  anche  a  voler
prescindere dall'avvenuta  acquisizione  degli  esiti  dell'attivita'
captativa effettuata  nell'ambito  del  procedimento  contro  ignoti,
nonche' dal fatto che il procedimento penale  n.  5194/2017  R.G.N.R.
fosse condotto dai medesimi inquirenti che sin dal  mese  di  ottobre
2015, periodo nel quale stavano svolgendo le indagini nell'ambito dei
procedimenti penali n. 24047/2015 e n.  7945/2015  R.G.N.R.,  a  piu'
riprese,  avevano  potuto  constatare  la  concreta  probabilita'  di
accesso alla sfera delle comunicazioni del parlamentare,  tramite  la
sottoposizione a controllo dell'utenza in uso ad un coimputato  [cfr.
doc. n. 7, pag. 3, pag. 4, ultimo e penultimo capoverso, trascrizione
informativa 10/100 del 30 luglio 2015, pag. 6, annotazione di Polizia
giudiziaria dell'11 novembre 2015, e del 24 novembre 2015]. 
    Nel caso in esame, la direzione dell'atto di  indagine  verso  il
parlamentare  e'  resa  inequivocabile  dal  fatto  che   l'attivita'
captativa sia stata richiesta dal P.M. e disposta dal G.I.P. e,  poi,
reiteratamente prorogata nell'ambito dei procedimenti penali  riuniti
nel processo pendente, mediante decreto del G.I.P.  del  19  febbraio
2015  e  successive  proroghe  (procedimenti  penali  n.   85108/2014
R.G.N.R. e n. 7495/2015 R.G.N.R. e  del  G.I.P.  del  30  marzo  2017
nell'ambito del procedimento penale n. 5194/2017) proprio al fine  di
accertare eventuali profili di penale  responsabilita'  dello  stesso
con  riferimento  ad  un'ipotesi  di  reato   di   turbativa   d'asta
asseritamente perpetrata in concorso con i soggetti coimputati le cui
utenze sono state poste sotto controllo (cfr. doc. n. 7). 
    II.2.6. - Si tratta, all'evidenza, di  intercettazioni  «mirate»,
atteso  che,  ove  «nel  corso  dell'attivita'   di   intercettazione
emergano, non soltanto rapporti di  interlocuzione  abituale  tra  il
soggetto intercettato e il parlamentare, ma anche  indizi  di  reita'
nei confronti di quest'ultimo, non si puo' trascurare  l'eventualita'
che  intervenga,  nell'autorita'   giudiziaria,   un   mutamento   di
obiettivi:  nel  senso  che  -  in  ragione  anche  dell'obbligo   di
perseguire gli  autori  dei  reati  -  le  ulteriori  intercettazioni
potrebbero  risultare  finalizzate,  nelle  strategie   investigative
dell'organo  inquirente,   a   captare   non   piu'   (soltanto)   le
comunicazioni del terzo titolare dell'utenza, ma (anche)  quelle  del
suo interlocutore parlamentare,  per  accertarne  le  responsabilita'
penali. 
    Quando cio' accadesse ogni  «casualita'»  verrebbe  evidentemente
meno: le successive captazioni delle  comunicazioni  del  membro  del
Parlamento, lungi dal restare fortuite,  diventerebbero  «mirate»  (e
con cio' «indirette»), esigendo  quindi  l'autorizzazione  preventiva
della Camera, ai sensi dell'art. 4»  [cfr.  Corte  costituzionale  25
marzo 2010 n. 113 (sent.)]. 
    E,  se  e'  vero  che  non  puo'  «giungersi  ad  ipotizzare  una
presunzione assoluta del carattere "indiretto"  dell'intercettazione,
basata sulla "elevata probabilita' che le  intercettazioni,  disposte
in un procedimento che riguarda  (anche)  un  parlamentare  finiscano
comunque per captarne le comunicazioni, ove pure il  controllo  venga
effettuato su altri  soggetti»,  nondimeno,  in  tale  evenienza  «il
sospetto della elusione della garanzia e' piu' forte e ... l'ingresso
del  parlamentare   nell'area   di   ascolto   evoca   con   maggiore
immediatezza,  nell'autorita'  giudiziaria,  la  prospettiva  che  la
prosecuzione  dell'attivita'  di  intercettazione  su  utenze  altrui
servira' (anche) a captare comunicazioni del membro  del  Parlamento,
suscettibili  di  impiego  a  suo  carico:  ipotesi  nella  quale  la
captazione successiva di tali comunicazioni perde ogni  "casualita'",
per divenire mirata» [cfr. Corte costituzionale (sent.)  n.  114/2010
cit.]. 
    Alla  luce  della  ricostruzione  operata  dalla   giurisprudenza
costituzionale e di  legittimita',  ricorrono  nella  fattispecie,  i
parametri per escludere il carattere «casuale» della captazione delle
comunicazioni del parlamentare, stante  la  finalizzazione  indiretta
dell'attivita' di intercettazione o, in altre  parole,  lo  sviamento
della direzione dell'atto investigativo, che  appare,  chiaramente  e
proterviamente, volto ad eludere la garanzia costituzionale  mirando,
nella sostanza, comunque  alla  captazione  delle  comunicazioni  del
membro del Parlamento, «ponendo sotto controllo i suoi  interlocutori
abituali in un contesto tale da far ritenere che  le  intercettazioni
siano  indirettamente  volte   a   captare   le   conversazioni   del
parlamentare» [cfr. Cass. pen. Sez. II, 16 novembre 2012]. 
    II.2.7. - Nella specie, il Senato della Repubblica - come  emerso
nel corso  del  dibattito  (seduta  del  30  giugno  2022),  in  seno
all'Assemblea parlamentare in esito  al  quale  e'  stato  deciso  di
promuovere il presente giudizio  -  ha  ritenuto,  come  testimoniato
dall'approvazione, a larghissima maggioranza, intervenuta sia in seno
alla Giunta delle Elezioni e delle Immunita' Parlamentari sia in seno
all'Assemblea, di essere in presenza  di  una  grave  e  macroscopica
violazione delle prerogative connesse all'immunita'  parlamentare  di
cui all'art.  68,  comma  3,  della  Costituzione,  operata  mediante
l'elusione, da parte  dell'Autorita'  giudiziaria  competente,  della
corrispondente  legge  attuativa,  essendosi  mancato  di  richiedere
l'autorizzazione  preventiva   per   il   compimento   di   atti   di
intercettazioni  di  comunicazioni  «indirette»  a   carico   di   un
parlamentare. 
    Il disposto di cui all'art. 68, comma  3,  della  Costituzione  e
dell'art. 4, della legge n. 140/2003, e' stato sistematicamente eluso
(rectius, ignorato) a piu' livelli dall'Autorita' giudiziaria: sia il
P.M., che poteva investire della questione il G.I.P., sia  lo  stesso
G.I.P., all'atto  di  disporre  le  intercettazioni,  sia  infine  il
G.U.P., che ha omesso di rilevare l'accaduto e di pronunciarsi  sulla
questione, dapprima rinviandola ad  un  momento  successivo  e,  poi,
completamente, obliterandola. 
    A quest'ultimo proposito, si e' dato atto,  nella  narrativa,  di
come, nel corso del procedimento dinanzi al G.U.P., piu'  volte,  sia
stata sollevata, in via principale, nel  corso  dell'udienza  del  30
novembre 2021 (cfr. doc.  n.  4),  l'eccezione  di  inutilizzabilita'
delle predette intercettazioni telefoniche, ai  sensi  dell'art.  68,
comma 3, della Costituzione e dell'art. 4 della  legge  n.  140/2003,
siccome acquisiste senza la preventiva autorizzazione del  Senato,  e
di come  il  G.U.P.,  ritenendo  di  non  essere  tenuto  a  decidere
anticipatamente, rispetto al merito, su detta eccezione abbia  omesso
di pronunciarsi, disponendo la prosecuzione del processo e riservando
all'esito ogni  decisione  al  riguardo.  Detta  eccezione  e'  stata
ribadita in esito all'udienza di discussione  del  16  febbraio  2022
(cfr. doc. n. 5) e, tuttavia, in data 1° marzo  2022,  il  G.U.P.  ha
emesso il decreto che dispone il giudizio (cfr.  doc.  n.  3),  senza
provvedere, ancora una volta, su detta eccezione. 
    E, dunque, pur ricorrendone, in  modo  evidente,  le  condizioni,
nella specie, e' stato scientemente e volutamente  omesso,  da  parte
dell'Autorita'   giudiziaria,   il   rispetto   sia   del    precetto
costituzionale che della relativa disciplina attuativa. 
    II.2.8. - Nella specie, dunque, vi e' stata una palese violazione
della sfera di attribuzioni, quale delineata dall'art. 68,  comma  3,
della Costituzione e dell'art. 4 della legge n. 140/2003, posto  che,
in  presenza  di  intercettazioni  «indirette»   a   carico   di   un
parlamentare,  non  spettava  all'Autorita'   giudiziaria   procedere
comunque al compimento del determinato atto d'indagine,  senza  prima
chiedere  l'autorizzazione  della  Camera  di  appartenenza,  con  la
stretta e vincolata conseguenza dell'illegittimita' dei predetti atti
che non potranno che essere annullati dall'intestata Corte. 
    II.3.1. - Sempre, nel merito: in via  subordinata,  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 68, comma 3, della Costituzione (siccome
attuato dall'art. 6, comma 2, della legge 26 giugno 2003 n. 140). 
    II.3.2.  -  Fermo  quanto  sopra  esposto,  in  via  gradata,  va
osservato  che,  anche  ove  le  intercettazioni  di  cui   trattasi,
dovessero considerarsi  come  «casuali»,  in  ogni  caso  l'autorita'
competente (e, dunque, il P.M. o il G.I.P.  o  il  G.U.P.)  avrebbero
comunque   dovuto   richiedere    al    Senato    della    Repubblica
l'autorizzazione a procedere ai sensi  dell'art.  6,  comma  2  della
legge n. 140/2003. 
    II.3.3. - Tale norma, gia' trascritta nella narrativa  in  fatto,
com'e' noto,  disciplina  la  richiesta  alla  Camera  d'appartenenza
dell'autorizzazione  all'utilizzo,  in  un  giudizio,  di   un   atto
d'indagine gia' svolto che  si  caratterizzi  per  il  suo  carattere
«casuale». 
    L'art. 6, comma 2, della legge n.  140/2003,  stabilisce  che  il
G.I.P. (o meglio, come appresso chiarito dalla dottrina, «l'Autorita'
che procede») qualora ritenga necessario utilizzare i «verbali  e  le
registrazioni delle conversazioni  o  comunicazioni  intercettate  in
qualsiasi forma nel corso di  procedimenti  riguardanti  terzi,  alle
quali hanno preso parte membri del Parlamento, ovvero i  tabulati  di
comunicazioni acquisiti nel corso  dei  medesimi  procedimenti»,  nei
confronti del parlamentare stesso, rispetto ai quali, proprio per  il
carattere imprevisto  dell'interlocuzione,  «l'Autorita'  giudiziaria
non  avrebbe  potuto,  neanche   volendo,   munirsi   preventivamente
dell'Autorizzazione  della  Camera  d'appartenenza»,  deve   comunque
chiedere, detta autorizzazione, successivamente. 
    E'  stato  osservato,  in  dottrina,   che   il   legislatore   -
nell'introdurre un sistema di tutela  basato  sulla  distinzione  tra
intercettazioni   «dirette»   ed    «intercettazioni    mirate»    (o
«indirette»),   soggette    ad    autorizzazione    preventiva,    ed
intercettazioni «casuali», subordinate, per poter essere  utilizzate,
ad «autorizzazione successiva»  -  ha  legittimamente  realizzato  un
bilanciamento di interessi, tra quello al corretto svolgimento  delle
attivita' investigative e quello al libero esercizio  della  funzione
parlamentare, aderente e rispettoso del dettato costituzionale. 
    Il sistema cosi' delineato scongiura, infatti,  il  rischio  che,
attraverso la  mancata  iscrizione  nel  registro  degli  indagati  e
l'omesso   apprezzamento   di   indici   oggettivi   attestanti    il
coinvolgimento  del  parlamentare  nel  procedimento  che  ha   avuto
oggetto, all'inizio, indagini nei confronti  di  terzi,  venga  eluso
dall'Autorita'  giudiziaria,  il  precetto  costituzionale,  di   cui
all'art. 68, comma 3, della  Costituzione,  posto  a  presidio  della
funzione parlamentare, riconducendo l'atto d'indagine al «caso» ed al
«fortuito». 
    II.3.4. - E, difatti, come anche recentemente ribadito dall'adita
ecc.ma  Corte,  la   previsione   della   necessaria   autorizzazione
successiva all'utilizzo dell'intercettazione della  comunicazione  di
un parlamentare, in  qualunque,  forma  acquisita,  «non  costituisce
inammissibile lesione del principio di uguale soggezione alla  legge;
ma attuazione del pertinente  trattamento  richiesto  dalla  garanzia
costituzionale», atteso che la ratio della garanzia prevista all'art.
68, comma 3, della Costituzione, «non  mira  a  tutelare  un  diritto
individuale, ma a  proteggere  la  liberta'  della  funzione  che  il
soggetto esercita, in conformita' alla natura stessa delle  immunita'
parlamentari, volte primariamente alla  protezione  dell'autonomia  e
dell'indipendenza  decisionale  delle  Camere  rispetto  ad  indebite
invadenze  di  altri  poteri,  e  solo  strumentalmente  destinate  a
riverberare i propri effetti a favore delle persone  investite  della
funzione» [cfr. Corte costituzionale, 23  gennaio  2019  n.  38,  che
richiama la precedente pronuncia della consulta n. 9/1970]. 
    E, proprio per questa ragione, e' stato chiarito che «la garanzia
in esame puo' estendersi ad un atto investigativo idoneo  a  incidere
sulla liberta' di comunicazione  del  parlamentare  (...)»,  qual  e'
l'intercettazione di una  comunicazione,  perche'  in  tal  caso,  la
capacita' intrusiva «assume significati ulteriori  laddove  siano  in
questione le comunicazioni di un parlamentare. Non  gia'  perche'  la
riservatezza del cittadino che  e'  altresi'  parlamentare  abbia  un
maggior valore, ma perche' la pervasivita' del  mezzo  d'indagine  in
questione puo'  tradursi  in  fonte  di  condizionamenti  sul  libero
esercizio della  funzione»  [cfr.  Corte  costituzionale  (sent.)  n.
38/2019 cit.]. 
    L'intercettazione  telefonica  «casuale»  (nel   caso   esaminato
dall'adita Corte si trattava dell'utilizzo di un tabulato telefonico)
«puo' infatti  aprire  squarci  di  conoscenza  sui  rapporti  di  un
parlamentare, specialmente istituzionali» di  ampiezza  ben  maggiore
«rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardanti altri
soggetti (in specie, altri parlamentari) per i  quali  opera  e  deve
operare la medesima tutela dell'indipendenza e della  liberta'  della
funzione» (sentenza n. 188  del  2010)»  [cfr.  Corte  costituzionale
(sent.) n. 38/2019 cit.]. 
    II.3.5. - E, dunque, nella fattispecie  in  esame,  anche  se  si
considerassero le intercettazioni eseguite a carico del  parlamentare
come intercettazioni «casuali», si dovrebbe  constatare  la  grave  e
palese  violazione  dell'art.  68,  comma  3,  della  Costituzione  e
dell'art. 6, comma 2, della legge  n.  140/2003,  denunciata  in  via
gradata con il presente ricorso per  conflitto  di  attribuzioni  tra
poteri dello Stato. Infatti, l'utilizzo probatorio nei  confronti  di
un parlamentare di  intercettazioni  su  utenze  di  terzi  non  puo'
avvenire,  senza  l'autorizzazione  successiva   della   Camera   cui
apparteneva, al momento in cui e' stata  eseguita  l'intercettazione,
mentre nel caso di specie, come innanzi esposto, nel decreto  che  ha
disposto  il  rinvio  a  giudizio  del  parlamentare,  nonostante  le
numerose eccezioni sollevate in proposito, il decidente non ha tenuto
conto di dette eccezioni, non ha affrontato la questione e non ne  ha
motivato il rigetto e, anzi, ha posto a fondamento  dell'imputazione,
n. 113 intercettazioni delle 126 ritenute «rilevanti»  dal  P.M.,  in
esito ad oltre 500 captazioni avvenute in tre anni di indagine  sulle
utenze di terzi ed il parlamentare che era in carica. 
    II.3.6.    -    Nella    specie,    infatti,     l'autorizzazione
all'utilizzazione delle intercettazioni, ove fossero  state  ritenute
«casuali»,  ben  avrebbe  potuto  essere  richiesta  sia  dal  G.I.P.
(trattandosi di questione di cui quest'ultimo avrebbe  dovuto  essere
investito dal P.M.) che dal G.U.P.. E,  difatti,  sebbene  l'art.  6,
comma 2, della legge n.  140/2003,  menzioni  espressamente  solo  il
G.I.P., quale autorita' competente a chiedere  detta  autorizzazione,
si  deve  comunque  ritenere,  che  la  stessa  spetti  all'autorita'
procedente, atteso che, diversamente opinando, come  osservato  dalla
migliore  dottrina,  potrebbe  essere  facilmente   eluso   (se   non
addirittura ignorato) ancora una volta il dettato normativo.